IL DIVO ITALIA

Carlos: I Do It My Way

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StregaPerAmore
view post Posted on 12/8/2010, 13:15




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Per un ragazzo dal sangue caldo come me, che passa la maggior parte della sua vita viaggiando, giocando al Latin lover, cantando canzoni romantiche per destare passione negli altri, era essenziale che il mio matrimonio fosse un giorno che né Geraldine né io avremmo mai dovuto dimenticare, e sono felice di affermare che ho realizzato quel sogno. La parte più difficile era tenere segreti i miei piani alla mia futura sposa e inventare una storia che mi potesse permettere di portarla a Disneyland in California, armato di abito matrimoniale.

“Si tratta di un servizio fotografico per la rivista Hello!” le dissi al telefono. “Stanno facendo una rappresentazione di tutte le fidanzate de Il Divo vestite per il più grande giorno della loro vita. Perciò per favore vai fuori e comprati un abito, vestiti come una principessa”.

Geraldine, che già a quel tempo era abituata al pazzo mondo in cui Il Divo viveva, non sospettò niente. Lei non perse tempo e andò a comprare un vestito da sposa per il servizio fotografico. E devo dire che la sua scelta – un adorabile vestito bianco avorio decorato con perle e ricamo – non avrebbe potuto essere più perfetta.

Quindi, la notte prima del matrimonio, la mia amorevole, ignara futura sposa si ritirò in una suite presidenziale che io avevo prenotato in un lussuoso hotel e aspettò il mio ritorno dal concerto di San Diego.

Intorno all’una e mezza del mattino, sentendomi incredibilmente eccitato per quello che stavo per fare, aprii la porta ed entrai, pronto a farle la proposta. Mi sedetti sul divano e chiesi a Geraldine di venire a sedersi vicino a me.

“Geraldine” dissi, “Siamo stati insieme per così tanto tempo e io amo stare con te. Ti piacerebbe sposarmi?”

“Oh sì” lei disse.

“Okay allora” dissi io, “Ora posso dirti il mio segreto. Ci sposiamo domani.”

“Davvero?” disse lei a bocca aperta, veramente scioccata. Poi non riuscimmo più a trattenerci ed entrambi piangemmo.

Incontrai per la prima volta Geraldine, che è mezza francese, mezza spagnola e una cantante professionista, quando recitavo la parte di Marius ne "I Miserabili". Ci incontrammo di nuovo verso la fine del mio secondo anno nello show, quando Geraldine era in teatro per il ruolo di Eponine e Cosette. Dopo "I Miserabili" ci ritrovammo in molti musical insieme. Per esempio, io interpretai Vince e Geraldine Sandy in "Grease", in "Peter Pan" io feci Capitano Uncino e lei Peter e ne "La Bella e la Bestia" lei recitava la Bestia e io Bella. Sto scherzando! Era, ovviamente, il contrario.

Avevo ventitre anni quando ebbi la parte di Marius ne "I Miserabili" nel 1992. Era il mio primo musical e ci sono voluti circa tre anni di audizioni per ottenere la parte. Ho cercato di avere questo lavoro così tante volte. All’inizio ho fatto l’audizione con Cameron Macintosh e il team americano, poi più tardi con il team inglese. Nel momento in cui mi venne detto che avevo ottenuto la parte di Marius, avevo perso l’entusiasmo. La mia carriera operistica aveva iniziato a decollare e allora stavo cominciando a pensare “E' la cosa giusta per me? Dovrei farlo?”. Ma ero innamorato della musica de "I Miserabili" e così accettai l’offerta. Feci 685 spettacoli tra il 1992 e il 1994.

Dal primo momento in cui posai gli occhi su Geraldine, capii che lei era la ragazza con cui volevo passare il resto della mia vita. Siccome continuavamo a lavorare insieme in varie produzioni e io mi innamoravo sempre più, divenni sempre più certo che lei era quella giusta per me, e, da quella volta, siamo sempre stati insieme. Lei è bellissima – nel corpo, mente e spirito. Lei è molto gentile, dolce, una personalità aperta e un carattere di grande forza. Ammiro la sua forza e con quanta energia lavora. Non è solo il mio amore, lei è la mia gemella – veramente la mia altra metà. È veramente incredibile come siamo in armonia, quanto bene ci conosciamo. Quando non siamo insieme io la chiamo almeno sei volte al giorno, e non è mai abbastanza.

Il nostro matrimonio a Disneyland il 26 giugno 2006, che io ho così amorevolmente programmato, è stato il migliore giorno della nostra vita, una favola diventata realtà. Io ho, ovviamente, avvisato i miei genitori, Magdalena e Carlos Senior, insieme alla mamma di Geraldine, di nome France. Tutti erano a conoscenza del segreto eccetto la sposa.

Mentre aspettavo l’arrivo di Geraldine sotto un gazebo illuminato dalle candele accanto al Disney’s Grand California Hotel, ero così felice che non potevo smettere di sorridere. Il gazebo era stato riempito di rose e l’aria era piena della loro fragranza. Poi, mentre guardavo la mia futura sposa scendere dalla carrozza di cristallo di Cenerentola, che era stata decorata con fiori ed era guidata da cavalli, il mio cuore fece un balzo. Ero così emozionato di essere riuscito a mettere in piedi un tale, elaborato stratagemma.

La cerimonia, a cui hanno partecipato i miei colleghi, David, Sebastien e Urs, insieme a Topolino e Minnie, continuò in uno stile da favola. Un uomo a piedi, vestito in blu reale e bianco, portò un cuscino viola sull’altare con i nostri anelli, posti in una scarpetta di Cenerentola. Poi, mia sorella, Rosemary, che era la damigella d’onore di Geraldine, avanzò con le mie nipoti, Noemi di diciassette anni e Myreya di 11, che erano le sue damigelle.

“Ascoltate, ascoltate” si sentì l’urlo, mentre le trombe annunciavano l’arrivo di Geraldine. “Vi prego di alzarvi in piedi e salutare l’amore della vita di Carlos, la bella futura sposa Geraldine Larrosa”. Poi, mentre il canto della Marcia nuziale di Mendelssohn riempiva l’aria, Geraldine, apparendo incredibilmente calma per una sposa che ha avuto meno di ventiquattrore di avviso del suo matrimonio, raggiunse l’altare scortata da France.

Nel mezzo del matrimonio, un quartetto cantò per noi, il che era semplicemente grandioso, e più tardi alla reception la torta al cioccolato bianco aveva le parole “Ed essi vissero per sempre felici e contenti” scritte in oro.
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Sapevo che Geraldine avrebbe apprezzato tutti questi particolari. I suoi film preferiti, quando era piccola, erano Bambi, Dumbo e Cenerentola e, come me, lei era rimasta giovane nel cuore. Sapevo quanto la magia di Disney fosse significativa per lei. Poco dopo il nostro primo incontro a Madrid, andammo in viaggio a Disneyland Paris e Geraldine era rimasta completamente incantata dal video dei matrimoni a Disneyland. “Oh, com’è meraviglioso” disse, “Avere una carrozza di cristallo e tutto il resto il giorno del tuo matrimonio”. In quel momento pensai, “Carlos, prendi nota”, e non me lo dimenticai. Qualche tempo dopo, acquistai l’appartamento di Madrid che abbiamo condiviso per sette anni. Una mattina mi svegliai e dissi tra me e me “Ok, ho una casa tutta mia ora. Tutto quello di cui ho bisogno è la mia sposa. Proporrò a Geraldine di sposarmi.”

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Allora eravamo innamorati e insieme da quattordici anni, ma non avevamo mai avuto il tempo di sposarci. Geraldine era sempre occupata con i musical in teatro e io ero sempre in volo per portare a termine i miei impegni operistici. Avendo preso la decisione, però, ero determinato a raggiungerla. All’inizio pensai che ci saremmo sposati a Las Vegas, quando il Divo avrebbero avuto un giorno di riposo, ma quando David disse “Perché non ti sposi a Disneyland? Geraldine lo adorerebbe.” “Ha ragione”, pensai, “Lo adorerebbe. Lo faremo là.”

È una fortuna che né Geraldine né io siamo naturalmente gelosi, perché passiamo molto tempo separati. Per esempio, tra il 26 giugno 2006, quando ci sposammo, e dicembre dello stesso anno, siamo riusciti a passare 28 giorni insieme e solo alcuni di essi erano consecutivi. La cosa buona dell’essere nello stesso ramo lavorativo, comunque, è che entrambi sappiamo che cosa vuol dire e come funziona. Come cantante de Il Divo, è essenziale sentirmi libero di incantare le persone ed essere gentile e generoso con quelli che incontriamo, e Geraldine lo accetta. Lei non è gelosa. Lei sa che il mio essere civettuolo fa parte della mia personalità latina e che è sono stato così fin da quando ero bambino. Amo flirtare. Fa parte delle mie performance, sia sopra che sotto il palco, e lei si fida di me e accetta ciò, data la mia natura, io farò, come la canzone dice, “Do it my way, a modo mio”.

Alcuni intervistatori, però, prendono seriamente il mio perenne comportamento flirtuoso sul palco e spesso mi chiedono, direttamente o indirettamente se sono fedele. “Oh sì”, dico. “Mi diverto a giocare al caloroso, flirtuoso Latin Lover, ma la verità è che prendo il mio matrimonio seriamente”.

Questa è veramente la realtà. Sono un uomo sposato molto felice. Mi piace andare fuori alle feste e nightclubs e amo osservare e flirtare con belle donne, ma guardo soltanto – non tocco mai. E, con molta sorpresa degli altri ragazzi de Il Divo, spesso telefono a Geraldine alle quattro del mattino, quando rientro in hotel. Onestamente posso dire che non vediamo l’ora di passare una vita insieme – e farci una famiglia. Amo i bambini e voglio averne alcuni miei. Dato che ancora adesso mi piacciono cose da bambini, sono sicuro che sarò un bravo padre e mi divertirò molto con i miei figli.

In questi giorni, Geraldine ed io cerchiamo di vederci almeno cinque giorni al mese, ma ciò al momento è particolarmente difficile. Lei è impegnata nell’uscita del suo album in Spagna e Sud America e, se tutto va bene, uscirà in tutto il mondo. Per quanto spesso riusciamo a vederci, non è mai abbastanza, ed è sempre una terribile sofferenza doverci separare di nuovo. Eravamo giovani quando ci siamo incontrati – io ventiduenne, lei diciassettenne - perciò abbiamo trascorso gli anni passati crescendo insieme e abbiamo una speciale complicità per cui capiamo come ci sentiamo in molte situazioni.

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Ma lasciatemi tornare all’inizio. Anche se entrambi i miei genitori sono spagnoli, io sono nato in Germania, dove ho vissuto fino a quando ci siamo trasferiti in Olanda. Sono madrelingua spagnolo, ma parlo anche Inglese, Tedesco e un po’ d’Italiano.

La prima volta che sono salito su un palco è stato in Germania, quando avevo 5 anni e mezzo. Davanti ad un pubblico di almeno 700 persone cantai la famosissima canzone “Granada” e tutti dissero che avevo una voce “sorprendentemente matura”. Mi resi conto allora che non avrei voluto essere nient’altro che un cantante.

Nonostante mi esibissi su un palcoscenico ad un’età così giovane e fossi assolutamente determinato a diventare un cantante, in realtà ero un bambino abbastanza introverso. Tuttavia, devo essere stato abbastanza maturo per la mia età, perché ricordo di aver pensato, quando ero ancora molto giovane, che essere introverso e mantenermi lontano dalle persone e dalla vita non mi avrebbe portato da nessuna parte. In qualche modo mi resi conto che se volevo realizzare i miei sogni, dovevo essere forte e disposto ad affrontare il mondo. Quando poi vidi per la prima volta il film del 1951”Il Grande Caruso” sul cantante lirico napoletano Enrico Caruso, la cui voce straordinariamente potente da baritono e poi da tenore gli permise di diventare uno degli artisti più famosi del suo tempo, io seppi esattamente che tipo di cantante volevo essere. Nel film la parte di Caruso era sostenuta da Mario Lanza, un altro cantante italiano dotato a sua volta di una voce superba e che divenne una leggenda ai suoi tempi.

Guardando indietro, mi rendo conto che tutta la mia vita ha girato intorno alla musica – oltre a cantare suonavo il piano e la chitarra – e la mia famiglia ha sempre condiviso il mio entusiasmo. Ci siamo persino trasferiti in Olanda nel 1977, quando avevo 8 anni, perché un amico dei miei genitori disse:”Penso che Carlos abbia una voce eccezionale. Lasciate che lo porti in Olanda e gli faccia fare una registrazione”. Nonostante mio padre facesse affari con un Casinò, non ebbe esitazioni. Decise di lasciare che il suo socio si occupasse del Casinò e si trasferì con mia madre e mia sorella dove ero io. Così, grazie all’amico di famiglia, a 10 anni registrai 2 singoli e 1 LP che conservo ancora nella mia collezione a casa. Il produttore nello studio di registrazione era Pierre Kartner, che era molto famoso in Olanda. Vivemmo lì finché, verso i 13 anni, la mia voce cambiò.
Allora ci trasferimmo in Spagna e andai al Conservatorio di Madrid a studiare canto e prendere lezioni di piano. Mentre ero al Conservatorio, presi parte a diversi concorsi di musica pop e, nonostante gareggiassi contro trentenni, vinsi il primo quando avevo appena 15 anni. Non mi sarei mai aspettato di vincere e fui assolutamente sorpreso quando accadde.
All’età di 16 anni avevo lo stesso tipo di voce che ho ora. Mi dicevano sempre:”Potresti essere un Tom Jones se volessi e potresti cantare in uno stile molto più appropriato alla tua età”. Ma io fui irresoluto. Continuai ad andare al Conservatorio e passai quegli anni a perfezionare la mia tecnica di canto.

Quando ero ancora poco più che un ragazzo, ricordo che un medium, amico di famiglia, mi disse che mia nonna materna era il mio angelo custode e mi avrebbe sempre protetto. Era una cosa strana a dirsi, ma io avevo sempre sentito che c’era uno spirito benigno, una mano amorevole che mi guidava nella vita. Ricordo anche che verso i 25 anni un amico mi mostrò una carta astrologica.”Risulta chiaro da questa, mi informò, che non diventerai famoso prima dei 40 anni”. E aveva ragione.

Ricordo che mia nonna una volta mi disse:”Se davvero vuoi qualcosa, Carlos, tu l’avrai. Devi solo prepararti a lavorare sodo”. Ogni volta che devo prendere una decisione importante, mi faccio tornare in mente le sue parole. Sto seduto da solo per pochi minuti, chiudo gli occhi e analizzo molto accuratamente cos’è che voglio, cosa dovrei fare e cosa meglio mi permetterà di vivere la vita a modo mio. Per me funziona. La maggior parte delle volte faccio la cosa giusta. E’ stato così anche con Il Divo. Quando questa opportunità ha bussato alla mia porta, proprio quando ero riuscito ad ottenere buone recensioni e una reputazione negli ambienti operistici, mi sono ritirato per qualche momento tranquillo prima di decidere.

I miei genitori mi hanno sempre incoraggiato e io sono sempre stato loro molto vicino. Non mi sono mai vergognato di ammettere che ero – e sono- un ‘mammone’. Forse questa è la ragione per cui i CD de Il Divo vanno esauriti attorno al Giorno della Mamma! Quando sono lontano, telefono a mamma Maddalena e a papà Carlos almeno 3 volte al giorno. Sono così orgogliosi di quello che ho raggiunto e dicono cose del tipo:” Sei ancora il numero uno in Spagna” oppure ’Indovina cosa ho letto su di te sul giornale!’

Tutto sommato, ho avuto un’infanzia e una giovinezza fantastiche, ma non sono stato viziato. I miei genitori mi hanno insegnato che se volevo qualcosa, dovevo darmi da fare per ottenerlo. In un’occasione, ricordo che mio padre mi disse che avrei potuto lavorare in un bar, suonare il piano e cantare in un posto dove tutti avrebbero fumato (cosa che mi avrebbe danneggiato la voce) o , se avessi avuto il coraggio, avrei lavorato nel suo Casinò, cambiando i soldi ai giocatori, inclusi alcuni personaggi piuttosto duri – e questo è ciò che ho scelto di fare.
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Mio padre lo apprezzò, pensando che fosse per me una buona opportunità per imparare a conoscere persone con diversi modi di vivere. Inoltre fu molto chiaro che mi rispettava perché non ero il tipo di ragazzo che chiedeva continua- mente soldi ai suoi genitori. In verità, ho preferito sempre lavorare per ciò che volevo, dai 7 anni in poi. Qualunque lavoro accettassi, tuttavia, non sono mai stato tentato di cambiare i miei piani a lungo termine. Io ho sempre saputo che sarei stato un cantante e non avrei potuto immaginare una vita diversa. Era una passione ardente, qualcosa che dovevo assolutamente fare.

Durante i miei giorni al Conservatorio, dove ho preso lezioni di canto dal leggendario Alfredo Kraus e da Montserrat Caballé, sono apparso spesso in show televisivi. Tra il 1989 e il 1991 come co-presentatore-cantante in un programma TV, prima di ottenere la parte ne “Le Misérables”, quindi una parte principale in “Man of La Mancha”, da cui proviene la canzone “The Impossibile Dream”, seguita da “Beauty and the Beast”, che si rivelò un lavoro molto duro.

E’ stato mentre recitavo in “Beauty and the Beast”, io nella parte di Bestia e Geraldine in quella di Bella, che ebbi un terribile incidente, che ha avuto conseguenze molto gravi sulla mia salute sia mentale che fisica. Fino a quel momento ero stato un interprete molto, forse troppo, sicuro di sé. Credevo di conoscere me stesso, sapere ciò che potevo e non potevo fare, sia come cantante che come attore. Ma poi giunse lo spettacolo di quel Sabato sera, quando mi sono lasciato trasportare dall’entusiasmo. Il trucco per quello spettacolo era abbastanza pesante – avevo tanto lattice e trucco sulla faccia che ogni giorno ci mettevo 2 ore e mezza per togliermeli – ma era il costume che mi dava i problemi maggiori. Pesava 25 chili, che sono un bel peso da portare, e durante il primo atto ho fatto un salto troppo alto, sono stato trascinato giù dal peso e mi sono schiantato sul palcoscenico. In quel momento non ho sentito dolore, ma ho capito che qualcosa si era rotto.

Ad ogni modo, poiché era Sabato sera ed avevamo il teatro pieno, sono riuscito a raggiungere una sedia, mi ci sono trascinato sopra e ho continuato a cantare. Quando arrivai al punto in cui dovevo alzarmi in piedi di nuovo, scoprii che la mia caviglia era rotta e non poteva sopportare più a lungo il mio peso. Non potevo muovermi. Da quel momento il dolore fu terribile, ma siccome io non sono il tipo di persona che farebbe calare il sipario su uno spettacolo, e siccome la mia canzone successiva era il momento culminante del primo atto, continuai con grande fatica, riuscii in qualche modo ad arrivare in fondo, poi svenni e fui portato d’urgenza all’ospedale.

Trascorsero 6 mesi – i 6 mesi più lunghi della mia vita – prima che io potessi tornare in teatro. Durante quel periodo non potevo camminare e la frattura stentava a ricomporsi completamente. Questo incidente mi ha lasciato un’eredità permanente. Io ero un bravo sciatore, ma ora non posso né sciare né correre. Ma il peggio doveva ancora venire.

Quando tornai a “Beauty and the Beast”, mi trovai di fronte ad un nuovo problema – uno spaventoso tipo di paralisi, noto come “paura da palcoscenico”. Io non avevo mai provato niente di così terrificante ed era così grave che ho dovuto dire alla direzione dello spettacolo che non stavo bene, ero tornato troppo presto e avevo bisogno di un periodo più lungo per recuperare.

Tuttavia, sapevo di dover tornare ad esibirmi prima possibile. Se non l’avessi fatto, la paura da palcoscenico mi avrebbe sopraffatto e distrutto ed io avrei dovuto rinunciare alla mia carriera di cantante. Quando tornai, di nuovo ci furono ancora alcuni momenti terribili da sopportare. C’erano volte, un attimo prima che il sipario si alzasse, in cui restavo immobile sul palco, bloccato da un panico agghiacciante, incapace di muovere un muscolo. Era come se fossi paralizzato. Poi, misteriosamente, dopo 6 settimane di tale inferno, la paura da palcoscenico sparì improvvisamente così come era venuta, per non tornare più. Ad oggi non so che cosa l’abbia provocata e non mi piace pensarci o parlarne, in caso ritorni.

Fino a quella produzione, io mi ero divertito moltissimo a mescolare stili musicali diversi, ma dopo aver partecipato a “Beauty and the Beast” tornai al mio primo amore – l’opera – e sono stato abbastanza fortunato da ottenere la parte di Marcello ne “La Bohème”, dopo la quale fui universalmente acclamato come “primo baritono” in ruoli lirici che comprendevano Enrico in “Lucia di Lammermoor”, Sharpless in “Madama Butterfly”, Rodrigo in “Don Carlos”, Figaro ne “Il Barbiere di Siviglia”, Germont ne “La Traviata” e il re Alfonso ne “La Favorita”.

L’aspetto migliore, da tutti i punti di vista, dell’aver iniziato la mia carriera nei musical, era che sembrava la continuazione degli anni scolastici, un periodo in cui ho potuto imparare un sacco di cose. Penso che il teatro musicale sia la più completa forma teatrale, perché bisogna saper sia recitare sia cantare per attirare l’attenzione del pubblico e talvolta si devono recitare brani abbastanza lunghi. Questa preparazione mi avvantaggiò quando mi unii a Il Divo, perché molte canzoni che cantiamo raccontano una storia d’amore e si deve avere una certa esperienza di recitazione per farlo bene. Sono molto orgoglioso di quei momenti in cui sono riuscito a trasmettere la passione di certe canzoni. Per me, è sempre più importante sentirmi dire che ho commosso qualcuno fino alle lacrime, piuttosto che ho cantato veramente bene una canzone.

Credo di poter dire di aver vissuto una vita fortunata. Dall’infanzia in poi, è stato un successo dopo l’altro. Questo non significa, però, che io non sappia cosa significhi essere infelici, addolorati o avere il cuore spezzato. La prima volta che mi innamorai appassionatamente avevo 12 anni e proprio quando i miei sentimenti erano più intensi, lei mi spezzò il cuore e se ne andò con un altro ragazzo. Da allora ho avuto il cuore spezzato in diverse occasioni e ho imparato sulla mia pelle cosa si prova nel fare esperienza del dolore, della perdita e della sofferenza. Queste esperienze dolorose, però, hanno un aspetto positivo. Molte arie e canzoni parlano di amore non corrisposto, desiderio e perdita e la mia personale sofferenza ha sicuramente influenzato il mio modo di cantarle.

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Stavo cantando a Dublino quando il mio manager mi telefonò per dirmi che una casa discografica mi cercava per un’audizione, ma non aveva idea per che cosa fosse il provino.

Per me fu una vera sorpresa, addirittura uno shock. Tanto per cominciare, l’audizione si teneva alla National Concert Hall di Dublino, lo stesso posto in cui avevo cantato la sera prima, quando il mio nome appariva sulla locandina. Poi, mentre mi stavo riprendendo da ciò, vidi una lunghissima fila di persone in attesa per quello che ora so essere una cosa tipo “X Factor”, ognuno con in mano un numero. Io avevo pensato di andare al solito provino individuale e il mio ego si sentì subito profondamente offeso. Convinto che si trattasse di un errore, ignorai la coda e salii al banco della reception. Dissi il mio nome all’impiegata, ma per tutta risposta lei mi allungò un numero dicendomi di mettermi in coda.

“Mi stai prendendo in giro”, dissi, confuso, e uscii per chiamare il mio manager.

“Che cosa succede?” chiesi.”Ho cantato in questo teatro ieri. Non aspetterò in coda con centinaia di altri speranzosi aspiranti oggi”.

Poi, ancora di cattivo umore, chiamai Geraldine.

“Calmati, Carlos” mi disse. “Devi proprio farlo. Non sai che cosa può venirne”.

Così, alla fine, ho messo a tacere il mio orgoglio, mi sono messo in coda e, quando è arrivato il mio turno, ho cantato un’aria dall’opera “La Favorita” , quindi la canzone “Impossible Dream” da “Man of the Mancha”.

Quando finii di cantare, uno della casa discografica venne verso di me e disse:”Sei impegnato il prossimo anno?”.

“Sì, impegnatissimo” replicai.

“Potresti rimanere altri tre giorni?”

“No” risposi.

“Non ti interessa farlo?” chiese sorpreso.

“Non particolarmente”, risposi e siccome ero ancora arrabbiato, me ne andai.

Qualche giorno più tardi, quando ero già tornato a Madrid, il mio manager mi richiamò. “Simon Cowell vorrebbe incontrarti a Londra”, mi disse.

“Chi è Simon Cowell?” chiesi. Simon poteva essere famoso negli USA o in Gran Bretagna, ma era sconosciuto in Spagna ed io, ad esempio, non avevo mai sentito parlare di lui.

Quando l’ho incontrato, lui fu molto affascinante e straordinariamente paziente. Passò tre giorni a tentare di convincermi che IL DIVO era una magnifica idea. C’è voluto sicuramente un po’, però, per convincermi. Io non ero un aspirante artista alle prime armi - Io ero un esperto cantante professionista, con una carriera già avviata. Dopo aver incontrato Simon, tornai in Spagna per discutere con Geraldine e i miei genitori sull’offerta che mi era stata fatta..

‘Io non credo che dovresti accettare”, disse mio padre. ‘E’ stato molto difficile per te passare dal musical all’opera e non credo che dovresti mettere a rischio i risultati raggiunti.’

Ciò che mio padre intendeva dire era che nel musical si usa un microfono per amplificare la voce, ma nell’opera la voce deve essere molto più potente e capace di arrivare in fondo alla platea e alla galleria. Quando si fa il passaggio, ci si può mettere un po’ di tempo prima di riuscire a cantare l’opera senza microfono.
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In quel periodo, mio padre non era l’unico a consigliarmi di rifiutare l’offerta di Simon. Gran parte di quelli che conoscevo nell’ambito professionale mi dicevano:”Carlos, devi essere pazzo ad unirti ad un gruppo di cantanti. Manderai in rovina la tua carriera operistica”. Invece, mia madre e Geraldine mi dicevano tutte e due:”Fallo, Carlos, fallo”.

Alla fine, dal momento che ero piuttosto annoiato dalla ristretta mentalità che si può trovare nella chiusa cerchia del mondo dell’opera, decisi di afferrare l’opportunità di fare qualcosa di diverso. Mi piaceva cantare l’opera, ma non sopportavo tutta l’irrazionalità che la circondava. E’ un mondo molto competitivo, incestuoso, pieno di gente con un’esagerata opinione di sé e di artisti ossessionati da chi riesce a cantare le note più alte, da chi ha la voce migliore. Durante la mia precedente carriera, ho avuto attorno a me troppe persone che credevo mi fossero amiche, ma che mi hanno colpito alle spalle. Quando questo è avvenuto, ho imparato a cavarmela da solo ed essere forte. Per natura, io sono una persona molto aperta e pronta a dare molto di me stesso agli altri, ma ci sono state molte occasioni in cui sono rimasto deluso e sconcertato dalle reazioni altrui.

Così, avendo deciso di dire sì a Il Divo, ho firmato il contratto e ho cancellato i miei ingaggi già programmati, incluso un prestigiosissimo impegno a cantare al Covent Garden. Effettivamente corsi un grosso rischio e mio padre in quel periodo era molto ansioso. Sono stato il primo ad essere scelto per il gruppo e sono felicissimo di aver preso la decisione di farne parte.
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Quando Urs, David , Sebastien ed io ci incontrammo allo studio, il nostro atteggiamento fu del tipo:”Ok,, partiamo e vediamo cosa succede”. Questo non significa, tuttavia, che all’inizio non sia stata dura. Io ero allora – e sono tuttora – un perfezionista che fa qualcosa solo se può farlo al livello migliore possibile e questa tenacia nel fare le cose a modo mio mi rende una persona con cui non è facile avere a che fare. Inoltre, poiché venivamo tutti da paesi diversi, le nostre prime conversazioni erano piene di fraintendimenti, che facevano salire la tensione alle stelle.

Sono il primo ad ammettere di essere un tipico Latino, con un temperamento molto suscettibile che può andare da 0 a 60 in pochi secondi, portato ad esplodere quando vedo qualcosa di sbagliato. Una volta che sono esploso e mi sono sfogato, tuttavia, tutto torna come prima. Possono passare alcune ore prima che l’atmosfera si rassereni, ma poi è tutto finito. Io non rimugino né porto rancori. In effetti, un aspetto positivo del mio carattere, è che nonostante esploda come un fuoco d’artificio, sono molto diretto e dico sempre alle persone, per quanto importanti o famose esse siano, ciò che penso. Così non ci sono sotterfugi né sgradevoli segreti e almeno tutti sanno come regolarsi. Un problema è che sono abituato ad imprecare in Spagnolo, ma quando lo faccio in Inglese, la stessa parola suona molto più offensiva. Questo può essere un notevole inconveniente. Un quartetto richiede che si arrivi a cantare bene tutti insieme.

Al principio, ho trovato molto difficile far parte di un gruppo. Ho cantato da solista per molti anni e all’improvviso condividevo il palco – e la luce della ribalta - con altre tre voci. Lentamente ma progressivamente, tuttavia, tutti noi abbiamo imparato a comportarci come fratelli durante uno spettacolo. Sono sicuro che crescere con una sorella più vecchia mi abbia aiutato in questo. Come la maggior parte dei fratelli, lei ed io litigavamo come cane e gatto e facevamo davvero la lotta l’uno con l’altra, per mia sfortuna, visto che lei praticava judo, ma nonostante questo, abbiamo imparato ad andare d’accordo e ad amarci. Io ho un grande rispetto per il talento degli altri e sono sempre stato convinto che, una volta che gli altri ragazzi ed io avessimo passato sufficiente tempo insieme, saremmo arrivati a conoscere che cosa scatta in ognuno di noi e che cosa ci colpisce nel profondo.

A quei tempi, nonostante i problemi di lingua, apprezzavo moltissimo il fatto che venissimo da diversi paesi e culture e ora credo che se fossimo stati tutti Spagnoli il gruppo non avrebbe funzionato così bene. Io credo fortemente nel destino e penso che fosse il destino de Il Divo essere esattamente ciò che è: una mini Nazioni Unite di diverse nazionalità. Urs è un tipico Svizzero: tutto deve essere preciso e puntuale, proprio come un orologio, e una nota deve essere tenuta per il tempo giusto, non più a lungo. David è un tipico Americano: è come un ragazzone, che continuamente scherza e si diverte. Non sta mai tranquillo e adesso che sta imparando a suonare la batteria, ci fa impazzire tutti con i suoi continui movimenti. Agita le mani nell’aria anche quando dorme. Seb è l’unico con cui mi piace uscire in cerca di nightclub. Abbiamo passato grandi nottate fuori insieme. E’ davvero un ragazzo sensibile e quando si fraintendono le sue parole, si può stare sicuri che se ne prenderà la responsabilità. Non farebbe male ad una mosca, mentre è molto facile ferirlo. Sebastien è molto francese, un po’ sognatore. Ha il cuore in mano e sa come affascinare e commuovere gli altri e rendere spettacolare ogni evento.

Noi siamo tutti intrattenitori nati, amiamo ciò che facciamo e questo avviene perché apprezziamo l’importanza della nostra amicizia reciproca e perché sempre ci ritroviamo uniti come fratelli dopo lo scambio d’opinioni. Alla fine della giornata, nonostante ognuno di noi mantenga la propria individualità, lavoriamo insieme come una squadra che ha le stesse aspirazioni e mete. Siamo fin troppo consapevoli che la gente ha investito tanto tempo e fatica in noi e siamo molto felici di restituire il 110 per 100.

Quando uscimmo alla ribalta la prima volta, alcuni iniziarono a dire che eravamo un “gruppo confezionato artificialmente” intendendo, suppongo, che la nostra esistenza era stata progettata a tavolino, poiché eravamo stati creati dal nulla da Simon. Ma ogni gruppo deve avere un inizio e, per quanto ci riguarda, non c’era niente di falso o di artificiale. Dal momento in cui ci siamo messi insieme, abbiamo portato il meglio di tutte le nostre esperienze precedenti e lavoriamo duro per ciò che facciamo. Ma qualsiasi cosa facessimo – o dicessimo – in quei giorni, i critici continuavano a trattarci come se fossimo solo un’altra boy-band e gli intervistatori, che non sapevano niente della nostra preparazione classica e formazione operistica, spesso dicevano:”Siete sicuri di saper cantare?”. Domande del genere, tuttavia, agivano come sprone e ci rendevano ancora più determinati a dimostrare che non eravamo solo un gruppo prodotto artificialmente, vestito con camicie e abiti firmati. Noi eravamo veramente dei seri cantanti e professionisti dello spettacolo.

Sì, la nostra musica è una specie di incrocio – e “popopera” è una parola come un’altra per descrivere il fatto che noi arrangiamo le nostre canzoni in stile decisamente popolare e le finiamo in stile operistico – ma non c’è niente di sbagliato in questo. Quella che stiamo percorrendo deve essere la strada giusta. Da quando siamo apparsi sulla scena, l’attenzione che abbiamo ricevuto è stata veramente straordinaria. E’ come vivere in un sogno. Quando, alla fine di un concerto, il pubblico si alza e applaude e urla e fischia è un momento davvero indimenticabile e uno dei più memorabili per me è stata la prima volta che Il Divo si è esibito dal vivo. E’ stato a Londra, in un posto chiamato “The Grove”. Era una rassegna di cantanti e tutti i rappresentanti della nostra casa discografica erano presenti. Noi eravamo così nervosi che tremavamo.

Io ripenso spesso al fatto che nel passato l’opera era la musica pop di oggi e assolutamente non vedo per quale ragione le canzoni eseguite in uno stile operistico non debbano salire ancora ai vertici delle classifiche popolari. E’ quasi impossibile descrivere a parole la mia reazione nel trovarmi circondato da una grande orchestra di fronte ad un vasto pubblico in un posto gremito di persone. Io proprio adoro stare sul palcoscenico e usare la mia voce nel modo migliore in cui riesco a farlo. Nessun aggettivo potrebbe rendere pienamente la sensazione che provo quando sto trasmettendo l’intensità via via crescente di una delle nostre canzoni.

Tutti noi concordiamo sul fatto che quando abbiamo iniziato a cantare insieme non eravamo del tutto certi che alla fine ci sarebbe stato un risultato. Io sono il baritono del gruppo , perciò la mia voce è un po’ più scura e più profonda. David ci mette la tipica voce da tenore, mentre Sebastien porta lo stile pop. Urs dà il suo contributo con una voce intermedia, calda e molto gradevole. Così è da qui che abbiamo iniziato. Abbiamo mescolato come un cocktail tutte le nostre voci insieme e – eureka – questo matrimonio tra opera e musica pop ha funzionato: si dice che noi diventiamo come una “magia” per gli ascoltatori. Pare che un componente del nostro team management abbia detto: “Il Divo è più della somma delle sue parti. E’ un meccanismo ben bilanciato e ben oliato dove ogni voce ha la propria potenza”. Questo mi è piaciuto.

Il nostro primo album “IL DIVO”, realizzato nell’ottobre 2004, ha decretato la fine del quarantennale record appartenente ai Led Zeppelin di essere l’unica band a realizzare un album numero-uno senza prima aver immesso sul mercato un single ed è stato in assoluto il primo album di debutto targato UK a raggiungere i posti più alti della hit-parade in America. Per noi non c’è alcun dubbio che sia stato “Regresa a Mi”, la versione spagnola di “Unbreack My Heart” di Tony Braxton, il primo a procurarci milioni di fan.

Noi certamente non avremmo mai pensato di avere successo così presto ed è ancora difficile renderci conto che sono passati solo 3 anni da quando abbiamo debuttato in TV cantando “Unbreack My Heart”, che ci ha portato tra i primi 5 posti in classifica in 26 paesi per il nostro primo album. E’ stato un magnifico risultato, che ci ha confermato il fatto che evidentemente eravamo riusciti a trovare il sound giusto.

Tutti noi trattenemmo il respiro quando il nostro secondo album “ANCORA” venne realizzato nel 2005 e fummo strafelici quando andò dritto al numero uno in USA, vendette uno straordinario numero di copie, 150.000 in una sola settimana e ci confermò come uno dei maggiori gruppi del mondo. Anche in Gran Bretagna “ANCORA” arrivò subito al primo posto.

Decidere quali canzoni includere nei nostri album è stato sempre un problema di collaborazione. Ci viene sempre chiesto se ci sono tra noi seri contrasti sulla scelta delle canzoni, ma io preferisco chiamarle discussioni animate. Noi siamo quattro professionisti fermamente convinti delle proprie opinioni, pertanto siamo destinati ad avere divergenze, di tanto in tanto. La casa discografica arriva con una lista, quindi è per noi il tempo di decidere. Per “SIEMPRE”, il nostro terzo album, realizzato nel 2006, decidemmo di cantare tutto in Spagnolo o in Italiano, perché queste lingue si adattano meglio alla voce lirica e sono considerate da molti le lingue dell’amore.
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“Siempre” significa ‘sempre’ in Spagnolo. Mi piace riassumere i titoli dei nostri album usciti finora nel modo seguente: il nostro primo album era intitolato IL DIVO, il secondo ANCORA. Così abbiamo: Il Divo, ancora, sempre – o per sempre. Ciò che abbiamo realizzato, quindi, è l’annuncio di una missione.

Per registrare il nostro primo album impiegammo 3 mesi, per il secondo 6 settimane e per il terzo 10 giorni. Il nostro lavoro è diventato sempre più facile perché siamo arrivati a conoscere meglio le voci l’uno dell’altro, quali parti ognuno di noi deve cantare e quale lingua usare per ottenere l’effetto migliore.

Ad oggi, la sola volta in cui ci troviamo insieme allo studio di registrazione è quando dobbiamo armonizzare, altrimenti registriamo separatamente. Dopo il primo album, abbiamo capito che sarebbe stato molto meno difficile e stancante se fossimo entrati in studio uno alla volta, per concentrarci sulle nostre parti individuali. Questo vuol dire non doversi fermare quando tocca a qualcun altro cantare ed entrare più facilmente nel ritmo delle cose.

Tuttavia, è ancora un processo molto stancante, specialmente quando ci si sveglia al mattino e si scopre che la nostra voce non è in una forma particolarmente buona, cosa che può succedere di tanto in tanto. Tutto sommato, noi sappiamo di avere sempre un periodo veramente duro davanti a noi quando stiamo registrando. Tuttavia, siamo così fortunati da avere produttori decisamente fantastici. Ci sentiamo proprio a nostro agio quando registriamo con Steve Mac, un eccellente produttore che conosce le nostre voci meglio di chiunque altro, supervisiona tutto e ed è una persona meravigliosa con cui lavorare. Siamo fortunati anche con i nostri produttori Svedesi, Per Magnusson e David Krueger. Avere produttori così bravi dimezza le difficoltà del lavoro.

Nei primi tempi, anche apparire in programmi televisivi comportava delle tensioni perché, nonostante ci venisse spesso chiesto di essere agli studi incredibilmente presto, poi ci veniva sempre concesso un unico passaggio per la nostra esibizione. Da allora non è cambiato molto, eccetto che ora siamo invitati agli studi talmente spesso che alcuni di essi sono diventati delle seconde case e adesso ci è concesso di arrivare molto più tardi. La parte più difficile è non sapere assolutamente come riuscirà il mix delle nostre voci , come emergerà il nostro sound. Talvolta non funzionano i microfoni dello studio, talvolta non funzionano le casse, talvolta , a seconda degli studi in cui ci troviamo, l’acustica non è affatto buona. A volte non sentiamo bene le voci l’uno dell’altro e finiamo col cantare a voce troppo alta o col sovrapporci l’uno sull’altro. Le esecuzioni in studio sono molto più facili quando uno canta da solo. Quando si è in quattro, è una sfida molto più grande.

Sebastien e Urs usano gli auricolari, ma David ed io non possiamo farlo perché quando arriviamo alle note alte, queste ci creano troppa pressione nelle orecchie. Praticamente dobbiamo cantare alla vecchia maniera, ascoltando le nostre voci acusticamente e sperando per il meglio.

L’esibizione che dà in assoluto le maggiori soddisfazioni è quella dal vivo sul palco. Niente la batte. Anche se abbiamo un team management che ci guida, noi produciamo da soli i nostri spettacoli. Noi siamo i soli che li finanziano e scelgono dove farli e quali canzoni cantare. In altri termini, siamo dei boss, il che significa che possiamo fare ciò che ci piace, ciò che riteniamo sia meglio per il nostro gruppo e le nostre esibizioni. Talvolta usiamo un allestimento per un posto dove ci esibiamo e poi lo adattiamo per un altro. Allo stesso modo, talvolta cambiamo l’ordine delle canzoni. In effetti, non smettiamo mai di sperimentare modi diversi per soddisfare i nostri fan.

Gli intervistatori ci chiedono sempre come riusciamo a vivere una vita regolare, soprattutto quando siamo in tour. Tutto quello che posso dire è che è molto difficile. Noi stiamo insieme spesso per 16 ore al giorno quando siamo in giro per fare promozione e anche se talvolta viaggiamo nel confort del nostro jet privato, tuttavia sentiamo la stanchezza. Essere in viaggio è faticoso – decisamente faticoso – e non lascia molto tempo per altre cose oltre a telefonare a casa e cercare di recuperare il sonno. Anche se amo quello che faccio e non lo cambierei per tutto l’oro del mondo, sento molto la mancanza di Geraldine e della mia famiglia e degli amici quando siamo lontani. Anche questo, tuttavia, ha un lato positivo: mi ha insegnato quanto sia importante apprezzare ogni prezioso momento in cui stiamo insieme.

Tuttavia, semmai questo diventasse troppo e finisse la mia esperienza ne Il Divo, vorrei dedicarmi alla produzione e alla direzione artistica e occuparmi di teatro musicale in Spagna. So che mi piacerebbe perché all’inizio della mia carriera ho prodotto un cast per registrare il musical ”Peter Pan” e mi è piaciuto farlo. Mi sono anche divertito a lavorare come direttore musicale in “Grease”, che comportava la direzione delle prove e l’arrangiamento di tutti gli accordi per i cantanti. Sarei anche contento di trasmettere la mia esperienza insegnando, soprattutto ai bambini e ai giovani. So per esperienza che ci sono molti insegnanti in questo mondo che credono di sapere cose che invece ignorano. In tutto, io ho avuto 14 insegnanti. Alcuni mi dicevano che ero un tenore, altri che ero un baritono e qualcuno disse che non avrei mai cantato l’opera. Ciò che ho fatto alla fine è stato analizzare la mia voce, per cercare di capire perché riuscissi a raggiungere certe note e non altre e poi ho sviluppato una mia tecnica personale.
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Un bel ricordo dei nostri esordi riguarda quando ci siamo esibiti al Mall Music al Warringah Mall di Sidney e abbiamo cantato “Unbreack My Heart” e “Mama” davanti a più di un migliaio di persone, prima di firmare copie del nostro album. In quella occasione, Philip Spence del team management del Mall fu abbastanza gentile da dire che mentre stavamo firmando, eravamo “gentili, disponibili e anche troppo felici di chiacchierare con la folla”. Noi abbiamo apprezzato il complimento perché esprimeva ciò che provavamo allora, e che ancora proviamo, verso i nostri fan. Inoltre, Philip ci disse che una signora ottantunenne, Berta Cunic, aveva aspettato per vederci fin dalle nove e mezza del mattino. Questo ci ha veramente commosso.
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Un’altra occasione ancora che emerge tra i miei ricordi è stata quando il nostro primo concerto a Barcellona coincise con la partita tra il Barcellona e l’Arsenal. I tifosi del Barcellona sono fanatici e quando arrivammo venimmo a sapere che uno dei più famosi cantanti spagnoli aveva cancellato il suo spettacolo quella sera temendo che andasse deserto. Noi non ci lasciammo spaventare. C’era un pubblico composto da 17.000 persone quando noi aprimmo il nostro concerto con “Unbreack My Heart”. Di solito il pubblico non canta con noi durante i nostri concerti, ma in quell’occasione avevamo ragazze di 14/15 anni che lo facevano ad ogni singola canzone. E’ stato come un concerto pop. Prima dell’inizio, avevo chiesto agli organizzatori di informarmi ogni volta che il Barcellona faceva un gol, così da poterlo annunciare al pubblico e alla fine del concerto tutto il pubblico cantò l’inno della squadra del Barcellona. E’ stata un’esperienza piacevolmente emozionante.

Il 2006 è stato un altro anno fantastico per noi, ancora meglio del nostro primo anno, dal momento che lo abbiamo passato per la maggior parte esibendoci dal vivo sul palco durante un tour mondiale di debutto che comprese 86 date in diversi luoghi in UK, USA, Europa e Australia. Ci siamo esibiti davanti a più di 500.000 fan; non c’era una sedia vuota in nessun posto.

Noi eravamo così eccitati da tutto ciò, sapendo che era un’esperienza che non avremmo mai dimenticato, quella che ci avrebbe dato così tanti momenti da ricordare negli anni a venire. Era il momento in cui eravamo capaci di dimostrare alla gente che sapevamo davvero cantare ed esibirci dal vivo. Io mi carico dell’energia che mi dà un pubblico presente – è come una corrente elettrica che mi attraversa. In questo, per me, consiste il senso della vita, essere lì sul palco, dare e ricevere. E’ qui dove io davvero mi rianimo, mi sento a casa e sono pienamente felice.

Ancora un altro piacevole momento per Il Divo avvenne il 31 gennaio 2006, che era la serata di debutto del nostro tour dal vivo 2006. Proprio prima dello show, mentre ci stavamo vestendo, il nostro manager, Peter Rudge, entrò nel camerino e disse: “Ragazzi, sono appena stato informato che siete al numero uno nella classifica Billboard in America”. Fu un momento indimenticabile per tutti noi. Ci siamo sentiti in cima al mondo per giorni.

Un altro momento che ricordo durante quell’anno fu quando stavamo facendo un’intervista per una stazione radio di Glasgow. Dave Marshall, il conduttore, presentandoci disse: ”Era solo l’Ottobre 2004 quando voi 4 giovanotti siete venuti nella nostra stazione radio con il vostro album di debutto. Da allora avete davvero conquistato il mondo, non in un modo esplosivo, come foste dei James Bond, ma ottenendo 26 volte il primo posto nelle classifiche internazionali, vendendo oltre 13.000.000 di album e raggiungendo il posto più alto di sempre per un gruppo Inglese nella classifica americana degli album di debutto. Ogni volta che vedo la stampa dire di voi che siete “alla conquista del mondo”, mi immagino un uomo che accarezza un gatto bianco e dice:’A quest’ora l’anno prossimo dominerò tutte le classifiche mondiali della musica pop”.

Mi è piaciuto quel momento. Avvenne in un periodo in cui gli eventi si susseguivano così velocemente che avevamo avuto davvero poco tempo per metabolizzare ciò che stava accadendo ed è stato solo in quello studio, ascoltando Dave, che mi sono reso conto di ciò che avevamo raggiunto – e la metafora di James Bond mi ha fatto ridere.

Ero molto eccitato quando ho sentito che avremmo registrato “The Time of Our Lives” con Toni Braxton e che la canzone sarebbe stata usata come inno per i Campionati Mondiali di Calcio 2006 e l’avremmo cantata alle cerimonie inaugurale e finale. Toni, cantante di Rhythm and Blues vincitrice di 6 Grammy Award, ha una voce sorprendentemente potente, sensuale ed è stata la prima cantante a realizzare in Spagnolo e in Inglese “Unbreack My Hearth”, una canzone che è stata scritta per lei da Diane Warren e che poi è diventata così determinante per il nostro primo successo. Lei è decisamente una sexy, dolce ragazza e posso dire onestamente che noi abbiamo trascorso il “tempo delle nostre vite” (= ci siamo divertiti moltissimo) esibendoci in questa canzone con lei.
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Quella Coppa del Mondo, che è stata vinta dall’Italia, fu uno degli eventi più visti nella storia della televisione. Pare che i telespettatori siano stati almeno 30 miliardi nel corso del torneo e alcuni giornalisti sportivi l’hanno definito il miglior Campionato di tutti i tempi. A noi piace pensare d’averne fatto parte.

Ci sarebbe stata presto un’altra eccitante sorpresa in serbo per noi.

Subito dopo la mia adesione a Il Divo, Geraldine, che era una fan appassionata di Barbra Streisand, mi disse: ”Non sarebbe fantastico se tu riuscissi a cantare con Barbra?” e il solo pensiero era sufficiente per farmi sognare ad occhi aperti. Allora, un giorno, mentre eravamo agli Universal Studios di Los Angeles per fare il nostro primo show durante il live tour, ci si presentò un uomo e ci disse:”Salve ragazzi, sono il manager di Barbra Streisand. Lei è una vostra grande ammiratrice e le piacerebbe che voi tornaste in America per esibirvi con lei”.

Quello, posso dirvi, è stato un sogno che non mi sarei mai aspettato diventasse realtà. Non ne sono stato deluso. Essere in tour con Barbra nel 2006 è stato un incredibile onore che è diventata una fantastica esperienza per tutti noi. Naturalmente, eravamo nervosi, ma lei si è rivelata una donna dolce e ci sembrava impossibile che chiedesse la nostra opinione. Ha una magnifica voce. Il mio unico rimpianto è stato non aver avuto la possibilità di passare con lei il tempo che avrei voluto per conoscerla, ma tra le prove e la promozione del nostro nuovo album ‘Siempre’, eravamo tutti troppo occupati. Però è stato fantastico stare sul palco con Barbra. Oltre alle nostre canzoni, cantavamo tre duetti con lei.

Una serata memorabile fu quando i Clinton vennero ad uno dei concerti. “Salve ragazzi”, ci disse Hillary “siete fantastici. Ho tutti i vostri album. Bill vorrebbe suonare il sax con voi”.

Abbiamo avuto anche fugaci apparizioni di Lauren Bacall, Sting, Tony Bennett e Robert de Niro durante quel tour e sebbene quei momenti siano passati in un lampo, è stato davvero meraviglioso vedere queste star di fama mondiale in un lampo.
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Ci sono accadute cose così straordinarie che nulla può più veramente sorprendermi, ma questo non significa che io sia diventato indifferente o dia tutto per scontato. Io sono ancora come un bambino che si stupisce di tutto e non credo che niente mi cambierà. Tuttavia, ci vengono fatte richieste molto strane. Spesso, ad esempio, le nostre fan ci chiedono di fare un autografo sui loro seni o sui loro sederi. Quando una fan ha tirato fuori il suo capezzolo, ho solo pensato.”Oh, okay”.

Suppongo che sia per colpa mia se ci tirano le mutandine sul palco. Questa certezza deriva da quella volta in cui durante un’intervista ci fu chiesto chi fossero i nostri cantanti preferiti. “Il mio è Tom Jones”, risposi. Poi, solo per scherzare, aggiunsi “ ma non so se sia per il fatto che ha una gran voce o perché le donne gli buttano le loro mutandine”. Da allora, le donne ci hanno sempre lanciato le loro mutandine e, a patto che siano pulite, la cosa mi piace. Un paio, con l’etichetta di M&S, aveva il numero di telefono della ragazza scritto sopra. Tuttavia, per quanto riguarda le donne che esprimono il loro apprezzamento lanciando la loro biancheria intima, nessuno batterà mai il record di Tom Jones.

Io sono un fan di Tom Jones fin da quando ero bambino e a casa ho tutti i suoi dischi e album. E, massimo della gioia, mentre cantavamo al Radio City di New York, venni a sapere che lui si stava esibendo al Kodak Theatre e sono stato abbastanza fortunato da trovare un biglietto per lo spettacolo.

Quando sono andato dietro le quinte per conoscerlo, non vedevo l’ora di dirgli che ero un suo grande fan, che lui era il mio eroe. Parlammo per parecchi minuti, ma, idiota come sono, non pensai di fare una foto con lui o di chiedergli un autografo. Pensai a questo solo in seguito, quando era troppo tardi. Davvero è stato un sogno diventato realtà ed è finito troppo presto. È solo quando si incontrano persone molto famose, come Tom Jones, che ci si rende conto di quanto siano normali. Lui è davvero una bellissima persona. Aveva sentito parlare de Il Divo. Gary Wallis, il nostro direttore musicale e batterista, aveva lavorato diversi anni con lui e aveva raccontato a Tom tutto su di noi e gli aveva anche menzionato il fatto che io ero un suo grande fan e speravo di conoscerlo un giorno. Ora che era successo, non vedevo l’ora di incontrarlo ancora.

Uno degli aspetti più piacevoli nel diventare famosi è che ti viene permesso di andare dietro le quinte e incontrare persone in occasioni così. È uno dei vantaggi del lavoro. Ho sempre pensato quanto sia strano, tuttavia, che proprio nel momento in cui acquisti una certa sicurezza economica – e puoi permetterti di pagare quello che vuoi – ti vengono offerte così tante cose gratis. Ti rendi presto conto anche del fatto che non devi aspettare in fila molto a lungo per un tavolo al ristorante e anzi sono i ristoratori che ti invitano ad andare a far loro visita. Sembra che più hai, più ti venga dato. Un altro aspetto strano dell’avere successo è stato scoprire di avere molti più amici di quanti non ne avessi mai avuto – e alcuni erano amici che non avevo visto né sentito per 25 anni! Non è triste quando la gente vuole conoscerti soltanto perché sei diventato famoso?

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Quando andammo a Tokio durante il nostro tour mondiale 2007, il pubblico ha tenuto un comportamento a dir poco fin troppo gentile ed educato. Durante il concerto stavano praticamente in silenzio e quando applaudivano lo facevano delicatamente e lentamente. Questo, tuttavia, non durò a lungo! Quando siamo andati in avanti e ci siamo seduti sul bordo del palco per cantare “Somewhere”, l’ultima canzone della serata, gli spettatori improvvisamente esplosero e impazzirono. Dopo essere saltati giù dalle poltrone, corsero verso di noi, urlando all’impazzata e noi ci trovammo di fronte ad una situazione potenzialmente pericolosa. Nell’eccitazione, una donna si trovò chiusa in mezzo tra David e me come in un panino e siccome la massa di persone dietro di lei continuava a spingere in avanti, la sua testa fu premuta giù contro il ginocchio di Dave. Anche allora, nonostante potesse a malapena respirare, continuava a boccheggiare: “Vi amo. Vi amo”. Noi eravamo davvero spaventati. Potevamo vederla diventare a poco a poco paonazza e per alcuni momenti, finché la folla non si ritirò e la situazione si ristabilì, tememmo che subisse seri danni.

Ci furono le stesse reazioni soffocanti in Colombia durante quel tour. Per tutto il giorno e anche la notte tardi, c’erano persone ad aspettare fuori dall’hotel, con la speranza di vederci andarcene o arrivare. Alla fine, non potevamo lasciare le nostre stanze tra uno show e l’altro perché potevamo essere molestati dalle fan che aspettavano fuori.

Tutto il tour in Sud America è stata un’esperienza indimenticabile. Eravamo già stati in Messico, ma non in altri paesi, come Cile, Colombia e Argentina. In Cile, ad esempio, quando eravamo nel mezzo della canzone “Without You”, una fan all’improvviso corse lungo la corsia, si arrampicò sul palco, si buttò sul pavimento, si avvinghiò alle gambe di Sebastien e non se ne voleva andare. Quando arrivò l’addetto alla sicurezza pochi secondi dopo, gli fu quasi impossibile sganciarla e noi dovevamo continuare a cantare come se non stesse succedendo niente. Fu proprio un sollievo per Seb – e per il resto di noi – quando lui l’afferrò e la portò via. In effetti, durante tutto il nostro tour Sud-Americano il pubblico era così entusiasta che non potevamo muoverci senza essere molestati e i fan continuarono ad aspettare fuori dai nostri hotel fino alle prime ore del mattino.
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Noi avevamo già viaggiato diverse volte, per dare concerti e promuovere i nostri album, ma fu solo di fronte al tipo di accoglienza che ricevemmo in Sud America e in Asia che cominciammo a renderci conto che facevamo parte di un’ altra categoria, eravamo diventati delle star. I posti per i concerti erano diventati sempre più grandi e le grida di entusiasmo sempre più forti. Per la prima volta si rese necessario cambiare i nostri nomi quando ci registravamo agli hotel. Prima che lo facessimo, alcuni scoprivano dove eravamo e ci telefonavano da zone con diversi fusi orari alle 5 o alle 6 del mattino.

“Sono una tua fan”, dicevano, quando, ancora mezzo addormentato, rispondevo al telefono. "Sì, grazie. Ti voglio bene”, rispondevo sbadigliando, “ma sai che ore sono?”

Non c’è alcun dubbio che le cose sono cambiate per noi durante quel tour e noi abbiamo iniziato a perdere quel po’ di privacy che ci era rimasta. Talvolta, durante quei giorni, era quasi soffocante. Io avevo l’abitudine di divertirmi andando in giro nei nightclub dopo i nostri concerti, ma raramente sono riuscito a farlo ancora. Tuttavia non mi sto lamentando, perché mi rendo conto che è una conseguenza dell’aver successo nel mondo dello spettacolo e, in verità, mi fa piacere che ora siamo delle star così grandi.

Per quanto riguarda il futuro, noi vogliamo solo crescere e crescere e facciamo il possibile ogni singolo giorno per migliorarci. Sto perfezionando anche il mio Inglese. Adesso quando torno in Spagna, talvolta mi accorgo che sto pensando in Inglese e mi sfuggono parole inglesi mentre parlo in Spagnolo.

Ma questo non significa che non continui a commettere errori durante le interviste – ci metto il piede, come si divertono a dire gli Inglesi. Questo mi è successo in Australia con la parola “successful”. Proprio in un momento in cui mi sentivo molto stanco e confuso dal jet-lag, la presentatrice televisiva mi chiese come pensavo fosse cambiata la mia vita da quando ho iniziato a far parte de Il Divo. “Beh, tanto per cominciare”, risposi sbadigliando ”non mi sarei mai aspettato di avere così tanto s-s-suck-sex”.

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Al momento rimase senza fiato, poi scoppiò in un’irrefrenabile risata e il resto del gruppo fece altrettanto. Ci misi un momento per capire cosa avevo detto, poi anch’io dovetti ridere.

Da quel giorno in poi, questo errore mi ha seguito in ogni paese in cui ci siamo esibiti, come uno scherzo ricorrente con i ragazzi. In ogni caso, penso che tutti noi siamo schiacciati dal nostro SUCCESSO e ci aspettiamo, fiduciosamente, di averne molto altro ancora!

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Tradotto da ANGELA (angela46arcimboldi)



Edited by StregaPerAmore - 1/6/2011, 20:27
 
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